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martedì 9 febbraio 2016

Abbé Belmont : «L’errore sull’infallibilità è rovina della fede»

Nell’articolo più sotto già riportato in traduzione, nel quale l’Abbé Belmont dà brevemente conto delle “défaillances” teologiche in cui abitualmente incorre mons. Williamson (& Company), una nota esplicativa rinvia ad un testo tratto dal forum francese « Le forum catholique », lì redato estemporaneamente da un non meglio precisato John Daly. Il testo in oggetto si vede è particolarmete piaciuto a Don Hervé, se lo ha ritenuto esplicativo di una sua affermazione riguardo la devastante pretesa fatta propria da certuni, e tanto nociva della fede, di «fare della conformità alla Tradizione una condizione dell’infallibilità del Magistero, quand’essa ne è la conseguenza» – ci si riferisce ovviamente a quelli che promuovono ancora ai nostri giorni la rediviva posizione teologico-ecclesiale del cosiddetto “clero gallicano”. La riporto in traduzione, per amore di completezza.

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L’errore sull’infallibilità è rovina della fede
Estratto da una discussione su “Il forum cattolico”


a proposito dell’errore che consiste nel pretendere che la conformità con la dottrina tradizionale sia una condizione dell’infallibilità del Magistero ordinario e universale della Chiesa.

Si terrà conto del contesto «forum» da cui è tratto : queste note assai istruttive sono scritte a caldo, in maniera rapida. Sono quindi particolare vive, persuasive, anche se non vi si trovano tutte le precisazioni, giustificazioni ed illustrazioni che comporterebbe un trattato «in forma».

Abbé Hervé Belmont

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*«Il Figlio di Dio troverà ancora la fede sulla terra?»

Un grande ringraziamento, caro N.M., per avere definitivamente demolito questo assurdo errore che consiste nell’annoverare tra le condizioni dell’infallibilità ciò che ne è il risultato.

Mi sembra vi mostriate ancora troppo buono nello scrivere: «A voler sostenere il contrario, si distrugge “tranquillamente” non solamente il magistero ordinario e universale, ma l’infallibilità stessa.»
Infatti questo errore comporta non solamente la distruzione del magistero e dell’infallibilità, ma la distruzione della fede divina e cattolica.

La ragione è semplice. Una condizione assoluta della nostra salvezza consiste nel credere con certezza alla rivelazione di Dio. Tale condizione non è arbitraria : abbiamo bisogno di conoscere con certezza la rivelazione di Dio. Dio ce l’ha rivelata per essere conosciuta ed utilizzata, e non solamente per mettere alla prova la docilità della nostra intelligenza.

Ora, per credere con certezza alla rivelazione di Dio, occorre sapere con certezza ciò che Dio ha, effettivamente, rivelato. Tutti sanno che questa rivelazione è stata affidata alla Chiesa cattolica romana per essere custodita e trasmessa ai fedeli. I fedeli devono quindi credere a tutto ciò che la Chiesa loro insegna.

Ma la difficoltà si pone di nuovo : come sapere con certezza ciò che la Chiesa insegna? Quanto più la dottrina della Chiesa cattolica deve essere la nostra regola di fede, tanto più abbiamo bisogno di una regola prossima della fede che ci permetta di conoscere qual è questa dottrina. Questa regola prossima è necessariamente il modo utilizzato o i modi utilizzati dalla Chiesa per comunicare il suo insegnamento ai fedeli.

Tale regola prossima di fede, che comunica l’insegnamento cattolico ai fedeli, deve necessariamente essere infallibile, altrimenti non potrebbe che generare un assenso condizionato il quale sostituirebbe l’incrollabile fede divina con l’opinione, come fa il protestantesimo.

Ora, nel mondo della tradizione dei nostri giorni, s’incontrano due errori, opposti sia tra loro che opposti entrambi a questa infallibilità della regola prossima della fede.

Il primo esige che la «conformità con la dottrina tradizionale» sia tra le condizioni di ogni atto infallibile della Chiesa. Questa conformità è però, come avete così ben mostrato, proprio ciò che l’infallibilità garantisce. Va da sé infatti che se questa «conformità» fosse una condizione da verificare prima di sapere se l’insegnamento sia garantito o no dallo Spirito Santo, il fedele non potrebbe più credere simpliciter a ciò che la Chiesa gli dice. Nessun atto della Chiesa, per solenne che fosse, basterebbe ad autorizzare il «credo» del fedele. Prima di credere, il fedele dovrebbe infatti controllare ogni volta la dottrina del magistero precedente per vedere se la «regola prossima [della fede]» non si fosse per caso sbagliata. Ma tale controllo effettuato dal fedele non sarebbe mai altro che un atto della sua propria intelligenza, assai tanto fallibile quanto qui il giudizio del papa sul medesimo soggetto. Tutt’al più solo un grande teologo, che possedesse una conoscenza dettagliata della tradizione, sarebbe in grado di sapere se il magistero avesse ragione. Di conseguenza solamente tale grande teologo sarebbe davvero capace di compiere un atto di fede. Il semplice fedele si ridurrebbe a potersi salvare solo mediante un’opinione – la quale non è una virtù teologale e non ha mai salvato nessuno.

L’errore opposto a questo è quello che impone al fedele il dovere d’aderire alle dottrine provenienti dal «magistero vivente», senza preoccuparsi di conciliare le sopravvenute appariscenti contraddizioni tra l’oggetto della fede presentato oggi e quello presentato ieri. Si afferma, assai pertinentemente, che solo il magistero è competente nel chiarire con autorità i dubbi riguardanti il senso del contenuto dei suoi enunciati, e di conseguenza ci si immagina che un eventuale cambiamento dottrinale radicale (ecumenismo? libertà religiosa?) non presenti alcuna difficoltà per la coscienza cattolica, la quale non ha che da piegarsi. È ironico constatare che il Commonitorium di San Vincenzo di Lerino, invocato dai fautori di questi due errori, fu scritto precisamente per opporsi ad essi e per inculcare i santi principi da applicare in questo caso, come ciascuno può vedere leggendone.

Questo secondo errore distrugge difatti la fede, di modo che il suo proprio atto sia un’adesione ad una formula ma non ad una verità necessariamente immutabile. L’atto per il quale abbiamo creduto, su insegnamento del magistero, che la Chiesa cattolica e romana ha p. es. esattamente la stessa connotazione del Corpo Mistico di Gesù Cristo, non sarebbe mai potuto essere un atto di fede se ci fosse stata la minima possibilità di rimettere in questione tanto la dottrina quanto il nostro assenso ad essa.

È per questa ragione, onde evitare ciascuno di questi errori, che la dottrina cattolica è sufficientemente riassunta nella parola «Credo» – io credo, non «opino» o «sottoscrivo».

John Daly

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* Il vostro intervento restituisce bene le cose, con precisione, giustizia ed efficacia.

La Rivelazione divina è conosciuta mediante il Magistero (per attestazione infallibile del Magistero) e mediante l’intelligenza (l’atto della fede è un atto sovrannaturale accompagnato dall’intelligenza umana).

L’attestazione infallibile del Magistero è necessaria e necessitante, pena rendere impossibile la fede. La non-contraddizione con l’insegnamento anteriore della fede è necessaria e necessitante, pena rendere impossibile la fede.

Questi due aspetti sono simultaneamente necessari. Lasciarne uno sarebbe fare della fede : sia un semplice giudizio umano (in materia non-evidente, ch’è quindi farne un’opinione); sia un non-atto d’intelligenza – o si potrebbe dire un giudizio inumano.

Ora, la fede non è né l’uno né l’altro : essa è lume divino in un’intelligenza umana.

Abel

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