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lunedì 8 febbraio 2016

Abbé Hervé Belmont : «Sono sedevacantista?»

Segue in traduzione un breve articolo dell’Abbé Belmont tratto dal suo blog. Il testo può essere idealmente diviso in due parti. La prima troverebbe concordi molti, la seconda molti meno, compreso il sottoscritto. Ma tant’è, che nella sostanza difficoltà vere (di cui do conto nelle note) quasi non ce ne sarebbero.

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Sono sedevacantista?

di Don Hervé Belmont

13 aprile 2010


Ci sono questioni che si finisce con il porre a se stessi, non per anticipare qualche domanda, ma perché sono l’occasione per esprimere con precisione ciò che è più o meno diffuso, più o meno implicito nelle convinzioni che qua e là si esprimono.

Nell’ultimo bollettino Notre-Dame de la Saint-Espérance (n° 243, d’aprile 2010) mi sono quindi domandato se sono sedevacantista. Ed ecco la risposta (rivista ed aumentata) che ho addotta. Occorre innanzitutto che il termine sedevacantista, inventato da 30 o 40 anni, significhi : chi professa che la Sede apostolica è attualmente vacante.

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Io non ricuso né rivendico la qualificazione di sedevacantista. Ma, poiché siamo nel campo della testimonianza della fede cattolica, questa risposta è troppo poco precisa, e vado a svilupparla.

Io non ricuso d’essere qualificato sedevacantista, e ciò per due ragioni.

La prima ragione, principale, essenziale, è un fatto : non c’è attualmente nessuno sulla Sede di San Pietro che sia Papa, investito dell’autorità pontificia, rivestito del potere sovrano che Nostro Signore Gesù Cristo ha affidato a San Pietro e ai suoi successori, che possiede la pienezza del triplo potere sulla Chiesa cattolica.

Questa affermazione non emana da un giudizio d’opinione, essa è la conclusione immediata e ineluttabile di una impossibilità nella fede : è impossibile essere Papa e simultaneamente assumere l’eredità del Vaticano II, le sue eresie esplicite e implicite, la sua riforma liturgica protestante, la sua praxis distruttrice della fede, dei sacramenti e della vita cristiana. Questa costante impossibilità è immediatamente fondata sull’insegnamento infallibile che la Chiesa dà a proposito di se stessa; conosco quindi questa impossibilità per mezzo e nella luce della fede.

Non è questo il luogo per dare delle prove, per reiterare i ragionamenti, per manifestare i punti chiave di questa impossibilità : mi contento di rispondere alla questione posta. Sì, la Sede è vacante.

A questa ragione ne aggiungo una seconda, accidentale, aneddotica. L’etichetta di sedevacantista è infamante, suona generalmente come una condanna. Ma in quanto è attribuita a coloro che, malgrado i loro errori, le loro insufficienze o addirittura smarrimenti, si sforzano nella situazione attuale di esercitare l’integralità della fede cattolica : allora l’accolgo e non la ricuso. Non vado, Dio me ne preservi, a dissociarmi dai combattenti quando piovono i colpi; non vado a proferire un «non conosco quest’uomo» : sarebbe vigliaccheria. Reclamo la mia parte d’infamia.

Ma la mia risposta non si ferma qui. Giacché, per tre ragioni, nemmeno rivendico la qualifica di sedevacantista.

Innanzitutto, non amo il neologismo sedevacantista, perché dà l’impressione di essere una dottrina particolare, una corrente tra le altre, un partito teologico : ora, ciò non è affatto vero. È vero anzi il contrario : per affermare che oggi abbiamo un Papa che governa la santa Chiesa, occorre inventare di sana pianta delle dottrine anti-infallibiliste, disubbidientiste, assertrici della libertà religiosa, della liturgia protestante e compagnia bella; mentre il sedevacantismo si caratterizza per la volontà d’applicare la dottrina universale, perenne e obbligatoria della Chiesa cattolica alla situazione della Sede apostolica. Anche se qualcuno pensa abbiano torto, non troverà tra i sedevacantisti come tali alcuna dottrina nuova.

Il sedevacantismo non è un principio né un sistema, è una conclusione; è la constatazione ragionata di un fatto che si desidera veder sparire al più presto. Ecco perché l’appellativo sedevacantista mi sembra scorretto.

Un apologo mi farà comprendere. Guardo dalla finestra e dico ad un amico immerso nel suo giornale : piove. Lui che guarda il meteo alla televisione – e se ne contenta – mi dice ch’è impossibile : si è annunciato tempo bello per la giornata. Guardo di nuovo, verifico che non è il vicino di sopra che mi fa uno scherzo, che non è l’innaffiatoio del vicino accanto che è mal regolato, che i miei occhiali sono puliti, poi affermo di nuovo che piove, poiché dell’acqua cade da una nuvola aleggiante nel cielo! E il mio amico che mi dice : tu non sei che un pluvialista! Pluvialista? No, ma realista, certamente. Sedevacantista? No, ma cattolico, certamente.

La sola qualificazione che rivendico è quella di cattolico, e cattolico romano. Per grazia di Dio, non ho altra volontà, altra dottrina, altra appartenenza.

Una seconda ragione mi fa grandemente esitare ad accettare una qualificazione di questo genere, è l’estrema varietà di posizioni e d’opinioni che raggruppa questa etichetta mal collocata. I sedevacantisti affermano l’attuale e provvisoria assenza d’autorità pontificia, ma ciò non basta per sfuggire alla conseguenza ineluttabile di questa assenza : la dispersione. «Percuoterò il Pastore, e le pecore saranno disperse» (Mat. 26, 31).

Si trova quindi un po’ di tutto tra i sedevacantisti, ed è un nome affatto insufficiente per identificare quella che credo essere l’attitudine pienamente cattolica di fronte alla crisi della Chiesa. Poiché ci sono due linee di frattura che dividono i sedevacantisti, linee che marcano divergenze assai gravi, a proposito delle quali vedo «prendere partito» tanto (se non più) che per l’affermazione dell’assenza d’autorità :
– da una parte rifiuto ogni consacrazione episcopale compiuta senza mandato apostolico (e quindi ogni consacrazione antecedente la restaurazione dell’Autorità) così come tutto ciò che ne consegue (confermazioni, ordinazioni etc.) [1];
– d’altra parte, rifiuto di considerare come non cattolici, come fuori della Chiesa, le persone che professano la fede cattolica ma sono in disaccordo con ciò che credo essere la verità e la linea di condotta cattolica : non ho alcun titolo a rifiutar loro i sacramenti per questo solo motivo, né d’altronde ad accettare i loro errori o a tacermi a loro proposito.

In secondo luogo – è la terza ragione per cui temperare il mio sì – do la mia adesione a quella che si chiama (con termine a mio avviso assai infelice) la tesi di Cassiciacum. Aderisco soprattutto al suo principio fondamentale : l’intenzione teologale. Quando il R. P. Guérard des Lauriers ha elaborato questa tesi per dar conto della situazione della Chiesa, ha messo in opera il giusto principio : davanti a una crisi la cui ampiezza e profondità obbligano a rimettere in causa l’esistenza dell’autorità pontificia in un soggetto che pare goderne (per altra causa che l’invalidità dell’elezione), occorre che lo sguardo portato sia vitale, che si attenga all’interiore stesso dell’atto della fede teologale : esso avrà una portata reale, farà discernere la verità, permetterà di concludere.

Detto altrimenti, occorre affermare tutto ciò che la fede cattolica ci costringe ad affermare, negare tutto ciò che ci costringe a negare… e attenervisi. Ricorrere a degli elementi che sono di una certezza d’ordine inferiore – a dei fatti non certificati, a dei ragionamenti che non raggiungono questo lume teologale, a delle teorie teologiche (come quelle sul Papa eretico) che la Chiesa non ha integrato nella sua propria dottrina etc. – può aiutare a comprendere, può confortare nella certezza della legittimità della conclusione, ma non permette di concludere categoricamente.

Se questa intenzione teologale esclude i giudizi sulle persone e le conclusioni azzardate, permette di raggiungere la certezza che compete alla fede cattolica. Ciò che si perde in estensione, lo si guadagna in comprensione. Del resto non intendo provare la tesi di Cassiciaum, ma esporre in qual senso sono sedevacantista.

Una precisazione s’impone tuttavia. Il Padre Guérard des Lauriers, tanto in ragione del suo principio che in ragione del suo argomento (induzione fondata sull’insieme degli atti del Vaticano II-Paolo VI) ha usato la distinzione papa materialiter-Papa formaliter che è al cuore della sua tesi. Questa distinzione deve essere «aggiornata» : il materialiter attribuito a Paolo VI includeva una realtà giuridica del fatto che egli era il soggetto canonicamente eletto. Ma in seguito, l’elezione è sparita con la sparizione dei cardinali (i nuovi designati non lo sono veramente perché la nomina è un atto di giurisdizione [2]). Il materialiter che si può attribuire a Benedetto XVI è assai più tenue : non resta niente dell’ordine giuridico, non resta che un fatto pubblico (l’esser-là) il quale non è che una disposizione prossima ad essere riconosciuto dalla Chiesa universale in caso di rottura con la nuova religione del Vaticano II. C’è ancora una continuità (che non è senza incidenza sull’apostolicità della Chiesa) ma questa continuità è una continuità in potenza.

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Note.

[1] Su questo punto si veda l’articolata risposta di don F. Ricossa, Le Consacrazioni Episcopali nella situazione attuale della Chiesa. Risposta all’articolo di don H. Belmont, CLS, Verrua Savoia 1997, Supplemento al n° 46 di Sodalitium.

[2] Due autori di parere contrario:

(a) Don Donald J. Sanborn, Il papato materiale, CLS, Verrua Savoia 2002 [Sodalitium nn° 47-48-49], pp. 61 e 63 : “15. Il diritto di eleggere non è giurisdizione né autorità. Il diritto di eleggere una persona a ricevere l’autorità non è né autorità né giurisdizione perché coloro che possiedono questo diritto non possiedono necessariamente il diritto di legiferare. Per esempio, in uno stato i cittadini hanno il diritto di eleggere ma non hanno il diritto di legiferare; possono soltanto eleggere colui che deve ricevere l’autorità. Oggetto del diritto di eleggere non è fare una legge bensì soltanto designare una persona. Perciò il diritto di eleggere perdura finché vi è l’intenzione abituale di designare una persona a ricevere l’autorità o finché questo diritto non sia rimosso dall’autorità. Il diritto di eleggere è ordinato ad un atto specificamente distinto da quello al quale sono ordinate la giurisdizione e l’autorità. L’autorità è ordinata a formulare leggi che sono ordinamenti per promuovere i fini propri della società stessa. Il diritto di eleggere invece non è ordinato direttamente a promuovere i fini propri della società ma soltanto a procurare un soggetto idoneo a ricevere questa autorità. L’oggetto dell’uno è simpliciter diverso da quello dell’altro e il diritto di eleggere non implica assolutamente nel suo concetto formale il possesso del diritto di legiferare, come l’elezione in sé non implica nel suo concetto formale il possesso dell’autorità.

Vero è che in concreto questi due diritti spesso si ritrovano nella stessa persona, per esempio in un cardinale o in un papa. Ma questi due accidenti (il diritto di eleggere e il diritto di promulgare una legge o l’elezione e il possesso dell’autorità) non si trovano necessariamente riuniti nella stessa persona perché il loro oggetto è diverso. Come detto prima, oggetto del diritto di eleggere è la designazione della persona che deve ricevere l’autorità e oggetto del diritto di legiferare è la legge stessa, o l’ordinamento della ragione allo scopo di promuovere il bene comune. L’atto o esercizio del diritto di eleggere è l’elezione; l’atto o esercizio del diritto di legiferare è di fare leggi. Poiché questi diritti hanno oggetti simpliciter diversi, esistono due facoltà morali simpliciter diverse. Questa distinzione risolve la difficoltà che alcuni obiettano : è impossibile che un conclave composto di cardinali eretici, e pertanto privi di giurisdizione possa eleggere colui che è ordinato a ricevere la pienezza della giurisdizione.

16. Il diritto di legiferare proviene in maniera immediata da Dio, il diritto di designare proviene da Dio soltanto in maniera mediata, in maniera immediata proviene dalla Chiesa. Il diritto di legiferare, cioè insegnare, governare e santificare la Chiesa, proviene da Dio. E’ l’autorità propriamente detta, l’autorità di Cristo, della quale il papa partecipa quale vicario. Invece il diritto di designare colui che deve ricevere l’autorità proviene da Dio in maniera mediata e in maniera immediata dalla Chiesa. Ciò è evidente : quando muore un papa il diritto di designare il successore non muore con lui! Il possessore legale di questo diritto di designare è il corpo degli elettori o conclave. Per questa ragione il conclave o corpo degli elettori può trasmettere il diritto di designazione anche a un papa materiale, vale a dire designato al papato senza avere l’autorità papale, cosicché questo papa materiale possa nominare altri elettori legalmente e così mantenere in perpetuo il corpo legale degli elettori. In altre parole, tutte queste considerazioni si trovano sulla linea materiale. Questo principio è di estrema importanza perché coloro che criticano la Tesi non capiscono come colui che non ha l’autorità papale possa nominare cardinali o elettori in grado di eleggere legalmente e legittimamente colui che deve ricevere l’autorità. A torto essi pensano che il diritto di designare gli elettori sia anche diritto di legiferare e quindi uniscono ciò che deve essere tenuto separato. Questo diritto di designare che si trova in Paolo VI o in Giovanni Paolo II non li rende papi, perché in essi manca l’autorità o diritto di legiferare. Quindi non sono papi, se non materialiter. Tuttavia possono designare gli elettori e anche i vescovi allo scopo di succedere nelle sedi dell’autorità e anche cambiare validamente le regole dell’elezione soprattutto se questi cambiamenti vengono accettati dal conclave.”

(b) Don F. Ricossa, XIII convegno di Studi Albertariani : “La Tesi di Cassiciacum ieri e oggi. La Chiesa ai tempi di Jorge Mario Bergoglio”, Milano 15 Novembre 2014, parte I, sbobinatura audio : 01:57:10 circa : “Gli elettori hanno oggi l’autorità per eleggere? Essere elettore non vuol dire esercitare una giurisdizione. [Tali elettori] non hanno giurisdizione perché sono partecipi del problema che colpisce il capo, tuttavia essere elettori vuol dire esser solo designatori e designare non è necessariamente avere autorità. Questo corpo morale degli elettori deve necessariamente rimanere. [Vengono dati] degli argomenti giuridici e canonici per cui anche in caso di vacanza della Sede la designazione degli elettori sarebbe valida, non so se questi argomenti canonici siano validi o no, ma senza dubbio sarebbero l’espressione di ciò che comunque viene dalla necessità stessa della Chiesa. Al Concilio di Costanza gli elettori di Martino V, che chiuse lo scisma, erano vescovi e cardinali delle tre obbedienze e in un certo senso erano tutti dubbi. Il fondamento [che ne permise l’elezione] era un titolo che giuridicamente viene chiamato “colorato”, ovverosia quando per es. qualcuno che è stato nominato parroco o vescovo di tale diocesi, etc., per un vizio giuridico, un vizio di forma, non lo è. Ma la validità di alcuni atti che pone, o determinate conseguenze, sono assicurate da questo titolo colorato, cioè da questa apparenza giuridica non ancora soppressa e che rimane. Ed allora, siccome questo è indispensabile per il mantenimento della Chiesa, ecco che [possono provvedere all’elezione]”. (c.d.r.).

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