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sabato 13 febbraio 2016

La Tesi di Cassiciacum, obiezioni e risposte (Parte I)

«La Tesi di Cassiciacum ieri e oggi. La Chiesa ai tempi di Jorge Mario Bergoglio»

Parte I
(obiezioni e risposte, dalla n. 1 alla n.  5)

Nota : Il testo seguente consiste nella prima parte della trascrizione (da registrazione personale) degli interventi estemporanei di risposta di Don Francesco Ricossa nella 2° parte del XIII convegno di Studi Albertariani (Milano 15 Novembre 2014): si comprenderà quindi perché venga mantenuto lo stile tipico del parlato. Si è cercato di ovviare per lo più solo alle inevitabili ripetizioni e, sporadiche, lacune sintattiche. (Qui la seconda parte).


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XIII convegno di Studi Albertariani : 
“La Tesi di Cassiciacum ieri e oggi. La Chiesa ai tempi di Jorge Mario Bergoglio”
Milano 15 Novembre 2014

Obiezioni alla Tesi di Cassiciacum e risposte.
[nn. 1 - 5]


1. Padre Guérard des Lauriers si sarebbe pentito della Tesi e l’avrebbe ritrattata in articulo mortis. A questa obiezione ne è legata un’altra, che dice che il testo originale della Tesi di Cassiciacum non si è mai visto o è stato occultato dai discepoli di Padre Guérard.

Ho qui con me il primo numero dei Cahiers de Cassiciacum, se qualcuno – per es. un sacerdote della fsspx, che pare abbia detto che sono io che nascondo questo testo “misterico” – mi dà i soldi per stamparlo, lo stampo subito! Aspetto un’offerta generosa. È in francese, se mi dà i soldi per stamparlo anche in traduzione e pagare un traduttore, glielo stampo subito! (Ma magari lo stampiamo anche senza i suoi soldi). Comunque, per la verità, è un testo di una rivista del ’79 che si ritrova nelle biblioteche, ma non si trova più in commercio e l’unica sarebbe ristamparlo. In francese i diritti credo ce li ha qualcuno che non siamo noi, e in italiano potremmo benissimo tradurlo ma ci vuole tempo e denaro.

Per quello che riguarda l’altra cosa, tutti quelli che vogliono far dire a P. Guérard il contrario affermano che ha cambiato idea in articulo mortis. In articulo mortis c’eravamo noi vicino a lui e possiamo dire che non ha cambiato idea. C’è comunque l’intervista che P. Guérard diede a Sodalitium, pubblicata nel n. 13, e scritta poco prima della sua morte, in cui la Tesi nel suo aspetto materiale/formale è spiegata di nuovo in lungo e in largo, ed è la prova migliore che non è vero quello che vien detto. E comunque non cambia nulla, non è perché l’ha detto P. Guérard che io ci credo, è perché ha detto il vero. Se per impossibile (è cioè falso, e non è vero) P. Guérard avesse cambiato idea, siccome io sono cattolico e non credo nell’autorità di P. Guérard ma in quella della Chiesa (al massimo seguo anche il lume della ragione), se mi sembra che P. Guérard prima ha detto il vero e poi ha cambiato idea e detto il falso, seguo il vero non seguo il falso. Non è la fedeltà a una persona, con tutto l’affetto e la stima che ho per lui, è perché sono persuaso del contenuto di quello che ho letto.

2. Altra obiezione, che si sente sempre di più soprattutto in questi ultimi anni di evoluzione temporale della situazione della Chiesa, è quella di molti che dicono: Siccome Ratzinger, Bergoglio, non sono validamente consacrati vescovi, la Tesi è ormai (questo almeno dal 2005 con l’elezione di Benedetto XVI) sorpassata, perché essi non possono essere papi neanche materialiter, visto che non hanno validamente ricevuto il sacramento dell’Ordine sacro. Lo stesso P. Guérard, che nei suoi scritti parlava di “ectoplasmi” di vescovi e di cardinali, diceva che gli occupanti della Sede apostolica ben presto non saranno più che delle “comparse” – questo lo troviamo negli stessi suoi scritti. Quindi, Benedetto XVI, Bergoglio-Francesco I, non essendo più validamente consacrati vescovi, la Tesi decade, a favore forse di una Sede totalmente vacante o della privazione totale del Papato.

Chi sostiene questa difficoltà lo fa o per sostenere la vacanza totale della Sede, quindi la Tesi di Cassiciacum è falsa perché Bergoglio adesso non è papa più per nulla (è tendenza più nota in Francia), oppure lo fa per sostenere – come qui in Italia un confratello che è stato con noi vent’anni e che adesso sostiene una posizione diversa– [l’impossibilità della vacanza]. Ho risposto a questa obiezione nel n. 63 di Sodalitium: “Una valida consacrazione episcopale è necessaria per essere papa?”. Checché ne sia della validità o no della consacrazione episcopale con il nuovo rito, in ogni caso questo non tange il fatto che una persona possa essere eletta al papato ed essere veramente papa. Pio XII ha fatto un esempio ben noto, parlando credo a dei laici, dicendo che se un laico, quindi una persona che non ha nessun ordine sacro, fosse eletta al Papato, dal momento stesso in cui accetta l’elezione, prima ancora di essere ordinato sacerdote o consacrato vescovo è già, pur essendo laico, il papa e gode della giurisdizione e del primato su tutto l’Orbe cattolico e su tutta la Chiesa [1] . Ragion per cui non è vero che la validità della consacrazione è indispensabile. Quello che è indispensabile è che il laico così eletto abbia l’intenzione di accettare la consacrazione. Questo perché il papa è il Vescovo di Roma, ma la giurisdizione [n.d.r.: il primato di giurisdizione in foro esterno] ce l’ha non dalla consacrazione – che è dalla linea del potere d’ordine – ma, in questo caso, direttamente da Cristo, mentre gli altri vescovi ce l’hanno dalla mediazione del papa. È la dottrina del Vaticano II che ha cambiato in po’ le carte in tavola, perché nel nuovo Codice di diritto canonico c’è invece un cambiamento importante che è stato messo in dubbio persino da canonisti moderni. Un canonista gesuita (di cui adesso mi sfugge il nome) ha fatto degli studi molto approfonditi su questo, dicendo che non è la posizione corretta, che pure si trova in Lumen Gentium e nel Concilio Vaticano II.

Secondo il Concilio, siccome l’autorità anche di giurisdizione del vescovo viene dalla consacrazione episcopale, allora è evidente che in questo caso colui che è eletto papa senza essere ancora vescovo, prima di diventare in tutti sensi effettivamente papa, deve farsi consacrare vescovo. Ma altri canonisti e teologi, anche oggi dopo il Concilio, dicono che questa dottrina è insostenibile. Comunque per noi che non seguiamo Lumen Gentium la cosa non pone alcun problema e Pio XII l’ha detto chiaramente: il laico è già subito ed immediatamente papa, deve però avere l’intenzione di farsi consacrare vescovo. Ed allora questo fatto ci può interessare perché ci riporta a quello che dicevo prima : in nessun codice di diritto canonico, manuale di diritto o di teologia, etc., sta scritto ciò che precisa Pio XII, che cioè si deve avere l’intenzione di essere consacrati vescovi, eppure è così. Perché? Perché accettando il papato occorre accettare ciò che costituisce il papato, e quindi siccome il papato è anche, ma non essenzialmente, l’essere vescovo (per il potere d’ordine), bisogna volerlo. E questo ci fa capire che se per es. il laico accettasse il papato, ma in cuor suo non volesse la consacrazione e poi continuasse a rifiutarla, ciò potrebbe essere un motivo per cui noi possiamo dire che non è papa o non è più papa, ha cessato di esser papa. Cosa che normalmente nessuno prende in considerazione. Questo per farvi capire come nell’accettazione può esserci un vizio di forma che fa ostacolo alla comunicazione dell’«essere-con»da parte di Cristo.

Quanto al termine di “comparsa”, chi obietta “dai colli romani” che P. Guérard ha scritto nel n. 13 di Sodalitium che mancando la valida consacrazione l’occupante della Sede di Pietro sarebbe una “comparsa”, ebbene, se si legge la Tesi di Cassiciacum del 1979, n. 1, quando il problema non si poneva minimamente, parlando solo dell’occupante materiale della Sede, P. Guérard dice che è una “comparsa”, un “sosia” [n.d.r. : Cahiers de Cassiciacum, n.1, p. 63 : “[…] elle n’est qu’un “sosie” de l’Autorité […]”]. Ciò perché si presenta come colui che è papa quando invece non lo è, in quanto il papa puramente materiale non è papa, nel senso pieno, simpliciter, del termine. Il termine “sosia”, “comparsa”, etc., era usato di già in riferimento a Paolo VI che era consacrato validamente senza alcun dubbio, quindi, nel linguaggio di P. Guérard, non significa nulla di particolare. Se non che, naturalmente, la situazione degli occupanti della Sede attualmente si fa sempre più problematica, questo è vero, in quanto può eventualmente – questa è un’altra questione su cui oggi non dovrei entrare – scomparire anche la validità degli ordini sacri. C’è un problema, perché naturalmente ai tempi di Paolo VI i cardinali erano tutti nominati senza alcun dubbio e adesso il problema si pone di più, ma per l’essenziale direi che le cose non cambiano. Quindi l’obiezione è respinta al mittente.

3. Una delle obiezioni, tra le prime, che storicamente sorgono riguardo alla Tesi, forse per una cattiva comprensione filosofica del problema. Si dice che giustamente in filosofia non c’è materia senza forma, quindi non può esistere un papa solo materialiter che non lo sia anche formaliter, perché la materia non può sussistere senza la sua forma : c’è distinzione tra materia e forma, ma non c’è separazione.

L’obiezione è di carattere filosofico, e naturalmente viene da una mentalità “univoca”, che non sa capire come materia e forma abbiano un significato analogico. Cosa vuol dire? Che sono dei termini che non hanno sempre il medesimo significato ma si applicano in maniera diversa a realtà diverse. Quello che è vero dell’obiezione è che non è possibile che ci sia separazione, nella realtà, tra la forma sostanziale e la materia prima. Tutti gli enti corporei, Secondo Aristotele e San Tommaso, sono composti di materia e forma. Gli angeli hanno delle forme, ma hanno una composizione anch’essi di essentia e di esse, e di sostanza e di accidenti. Solo Dio è non composto e assolutamente semplice, perché Dio è il suo essere: Dio è l’Essere stesso sussistente. Questa è la differenza fondamentale tra Dio e le creature in San Tommaso.

Tutti gli enti corporei hanno qualcosa di potenziale ed indeterminato, che viene chiamato materia prima, e qualche cosa di formale che determina e dà l’essere che è la forma: l’unione della materia e della forma dà il composto. [Queste categorie sono applicate alle più differenti realtà] : da un punto di origine piuttosto grossolano – p. es. un pezzo di legno che è la materia (e già questa non è la materia prima, capite bene) che poi riceve la sua forma, come quella di uomo o di sedia – il punto di vista materiale e il punto di vista formale si possono applicare anche a realtà molto astratte, tanto è vero che tutto può esser visto da un punto di vista materiale e da un punto di vista formale: ciò che è necessario come potenza e ciò che invece svolge il ruolo di atto, ciò che è indeterminato e ciò che determina. Ad esempio la “dottrina ilemorfica”, cioè materia e forma, è applicata ai sacramenti analogicamente : la materia dell’Eucarestia è il pane e il vino, la forma sono le parole consacratorie: esse possono essere separate, solo se messe assieme abbiamo il Sacramento. Può essere ancora più astratta : nel matrimonio materia e forma sono degli atti umani che non hanno alcuna o quasi alcuna corporeità e materialità, come la quasi materia del Sacramento di penitenza sono gli atti del penitente, che non hanno una corporeità e una materialità. Solamente uno spirito grossolano, univoco e che non è capace di elevarsi più in alto non sa vedere queste cose.

E così allo stesso modo, se la materia prima e la forma sostanziale non possono esistere separati – benché l’anima che è la forma del corpo possa esistere separata dal corpo, ma non è più un uomo, non è più una persona, è una forma sussistente – tuttavia è possibilissimo che ci sia una materia seconda (cioè il composto di materia e forma che viene chiamato materia seconda) che sia priva di una forma accidentale: il papato è la forma accidentale di Pietro. Così spiega la cosa Gaetano e tutti i grandi commentatori di San Tommaso : Pietro è la materia, il papato è la forma, naturalmente accidentale. Quindi Pietro esiste benissimo senza la forma [accidentale del papato]. Prima di esser papa non era papa, quando smette di esser papa non è più papa, quindi riceve la forma che lo determina ad essere papa – non ad essere “e basta”, perché ad essere “e basta” lo è già, ma ad essere papa, ad essere “tale”, ad essere “quella cosa lì”, ovverosia papa, che è una forma accidentale ma, potete ben capire, importantissima. Quindi l’obiezione è di uno che non ha letto l’abbiccì della filosofia aristotelica scolastica tomistica ed evidentemente è priva di sussistenza.

4. Il papa è quello o il papa non è. La storia del papa materialiter sì e formaliter no, sembra una vera assurdità. Come è possibile che Cristo Signore si faccia rappresentare da un apostata di primordine che proferisce eresie ogni volta che apre bocca? Nell’attesa poi che costui si decida di diventare successore degli apostoli? La linea della continuità apostolica, come può essere garantita dalla presenza di un “masso informe” o meglio ancora di una parodia della stessa idea papale e della sua autorità?

C’è molta carne al fuoco per la verità in quest’obiezione, ce ne sono tre o quattro o forse di più. Prima di tutto alcuni capiscono falsamente, persino mi sembra i domenicani di Avrillé nel “Catechismo sul sedevacantismo”, che secondo la Tesi di P. Guérard sarebbe un “mezzo papa”, un po’ sì e un po’ no. Evidentemente non è così. Quando si parla, si parla simpliciter, come si dice in filosofia. Cioè, alla domanda : “è papa o non è papa?”, se dobbiamo rispondere non con una distinzione, come spesso o quasi sempre San Tommaso fa, ma col sì o no, la risposta è no. Non è papa. Quindi questo sia chiaro per tutti, perché qualcuno non ha capito bene e pensava che dicessi che era papa. No, dire che è materialiter papa vuol dire che non è papa, è solo la persona, fino a prova del contrario, designata per esserlo. Ha la potenza, la potenzialità, e questo elemento è necessario per esser papa : uno che non è designato non può diventar papa, ma uno che è designato non lo è ancora. “Come è possibile che un delinquente, un farabutto, un eretico, tutto quello che vogliamo, ecc. ecc., possa essere considerato da noi come materialmente papa, cioè come la persona designata?”. Be’, non l’ho designata io! quindi declino ogni responsabilità. In conclave non avrei votato per lui, ma in conclave non mi chiama nessuno e qualche motivo ci sarà. – Non è vescovo. – Eh, può esserci in conclave anche dei non vescovi : c’erano dei cardinali-diaconi che in teoria… (ormai non erano più diaconi da un pezzo). Antonelli, segretario di stato di Pio IX non era prete, etc. Comunque sia, nessuno mi chiama in conclave.

Allora, il problema è questo qui. Prima di tutto [l’affermazione] “è un eretico”. Siccome mi è stata posta dal signore [qui presente] la domanda sull’eresia, anche se certamente una delle domande che verranno poste è quella dell’eresia, parliamone già adesso. La Tesi di P. Guérard fa totalmente, o quasi totalmente astrazione dall’eresia della persona del Pontefice, vero o apparente che sia. Questa è una caratteristica propria della Tesi di P. Guérard, e qui mi spiego. Nel passato l’ipotesi di un “papa eretico”, pure essendo qualcosa di scabroso, imbarazzante e anche di pericoloso (perché è chiaro che può mettere in discussione l’autorità papale, e quindi non se ne parla volentieri di questa possibilità) è in tutti i secoli sempre stata fatta. Non solo ai tempi dei Padri e poi più tardi nella Scolastica, quest’ipotesi è stata discussa ancora nei tempi recenti (pensiamo a Sant’Alfonso) e tutt’ora è rimasta in qualche pagina secondaria, in qualche nota di manuale. La questione del papa eretico come ipotesi è una questione classica. Un’altra questione simile ma diversa è la questione di un eletto al papato che fosse eretico già prima. E qui entra in ballo la famosa Bolla Cum ex apostolatus di papa Paolo IV, uno dei più grandi papi della storia. (Bolla approvata e rinnovata da San Pio V, che ne ha continuato la politica ecclesiastica. Ho scritto un lungo articolo su Sodalitium n. 36, L’eresia ai vertici della Chiesa, in cui parlo della genesi storica di questa Bolla).

Il problema qual è? Chi sostiene la tesi della Sede vacante e anche chi si oppone alla tesi della Sede vacante, fa delle schermaglie tirando fuori tutto quello che gli antichi autori hanno detto sul caso dell’eresia di un papa. Un papa oppure uno che non era papa e che è stato eletto e che è eretico, quindi cosa succede? Bisogna distinguere se l’eresia è occulta, cioè ha perso la fede ma nessuno lo può vedere (e non è il caso di cui parliamo adesso, perché qui parlano, eccome se parlano: parlano e agiscono!). C’è poi la questione di come si definisce l’eresia. Ci sono due elementi nell’eresia, l’elemento materiale (anche lì, scusatemi non lo invento io), cioè una proposizione che è contraria alla fede rivelata, e l’elemento formale che è indispensabile: la pertinacia, cioè il sapere che questa proposizione è contraria alla fede e all’insegnamento della Chiesa e difenderla, o anche dubitarne lo stesso. Questa è la pertinacia, non che [costui] continua per cent’anni a pensarla così, ma vuol dire: il sapere che è un’eresia, il voler prendere una via eretica. Per cui bisogna vedere se uno è eretico solo materialmente o formalmente : uno può sostenere un’eresia enorme, anche con colpa personale per negligenza grave, per temerarietà e tutto quello che si vuole, senza che però lo sappia e voglia opporsi all’insegnamento della Chiesa e alla Rivelazione divina. Quindi non bisogna confondere l’eresia materiale solo con la buona fede: può coesistere eresia puramente materiale anche con un peccato grave in questa materia che però non è la pertinacia. Ci sono tante cose da discutere. – L’ignoranza! – Ci sono vari tipi di ignoranza, che può essere colpevole, non colpevole, ma anche la colpevole non sempre… etc. [2]

E poi c’è il fatto che su questo tema i teologi classici non sono arrivati ad una conclusione concorde. Riassumendo. La scuola gesuita, Bellarmino in particolare, dicono che nel caso di papa eretico egli è deposto per il fatto stesso da Cristo; i domenicani e in genere i commentatori di San Tommaso sono piuttosto per il deponendus, cioè il Concilio generale deve dichiarare l’eresia del pontefice, dopo che egli ha rifiutato di correggersi, e deporlo. Non perché il Concilio è superiore al papa, ma perché [costoro] separano la materia dalla forma, ovverosia il papa dal papato; e questo è possibile secondo Gaetano, Giovanni di San Tommaso, etc. Recentemente i domenicani di Avrillé in Francia, che sono contro la Sede vacante, citano i teologi domenicani per dire: “Visto! Anche se il papa è eretico è sempre papa fino a che non è deposto”. Suarez è un po’ simile a Bellarmino, gesuita anche lui: è deposto non dal Concilio, [ma] ipso facto, però è necessario che il Concilio dichiari che è eretico [3]. E questa è una verità. Perché per esser sicuri dell’eresia formale bisogna che qualcuno che ha autorità chieda all’errante, dica a chi erra, a chi proferisce l’eresia, “quello che tu dici è contrario alla fede divina e alle definizioni della Chiesa: devi corregerti!”. Se lui si corregge e dice “io non lo sapevo”, era un eretico materiale… o fa finta di esserlo.

– Lei prima ha citato il caso del card. Burke. Però il card. Burke non ha mai detto a Bergoglio “correggiti!” – Questo è il problema. Tutto si fonda sull’interpretazione dell’Epistola di San Paolo a Tito : “l’uomo eretico, dopo due o tre correzioni, evitalo”. Quindi da un lato c’è l’obbligo di separarsi dall’uomo eretico quale che sia, di non avere comunione con lui, ma prima ci devono essere le correzioni. Non perché non si possa essere eretici formali e colpevoli anche prima, se uno lo sa, ma perché le correzioni servono per vedere in foro esterno e per avere la certezza che questa persona è veramente e formalmente eretica e rifiuta l’autorità della Chiesa e quindi la Rivelazione divina. Ora, tutti questi teologi antichi, sia che dicessero che è da deporre, sia che dicessero che è deposto, sia dicessero che è deposto dopo una dichiarazione o senza, poco importa. Prima di tutto non concordano, e poi tutti presuppongono una cosa: che ci siano dei vescovi o dei cardinali che dicono “ma tu sei eretico!”. Il problema oggi è che questo non c’è stato, è questa la nostra tragedia. Noi chiediamo – ancora io oggi lo chiedo ma nessuno mi sente…

– Però due vescovi lo hanno detto in passato. – Allora, prima di tutto non lo hanno detto proprio pari pari : mons. Lefebvre, mons. De Castro-Mayer – anche mons. Ngo-Dình-Thuc ha fatto una dichiarazione in cui persino dice che “non è papa” – questi vescovi (il caso di Thuc lasciamolo perdere) hanno detto tante cose, hanno anche pubblicamente opposto a Paolo VI e Giovanni-Paolo II i loro errori, ma riconoscendoli come l’Autorità. Non hanno messo in discussione la loro autorità, hanno continuato a riconoscerli come tali e quindi come fonte di magistero e di autorità: si sono sempre considerati e detti sottomessi a quell’autorità. Quindi la loro domanda non può essere considerata come l’inizio, per così dire, di un processo canonico a quest’eretico. Bisogna dire che malgrado tutti gli errori che, mi sembra, ha commesso in vita sua l’Abbé George De Nantes [1924-2010] (un sacerdote francese che una volta era famosissimo e ora è molto meno noto), già durante il Vaticano II egli denunciò gli errori del Concilio e, giustamente, disse: “Vescovi! Dovete chiedere a Montini, quindi a Paolo VI, di ritrattare gli errori, o i cardinali e i vescovi [devono] incominciare un processo canonico nei suoi confronti”. Ma questo non c’è stato.

Allora vedete, la Tesi non si basa assolutamente sull’eresia proprio per le difficoltà di cui abbiamo parlato. Se riuscissimo a dimostrare che è formalmente eretico, e che quindi è certo che ha perduto il pontificato per questo, avremmo una dimostrazione più certa e dalle conseguenze più vaste di quelle che sono nella nostra Tesi. Invece la nostra Tesi è solamente induttiva, ovvero dalla constatazione di tutta una serie di azioni e di atti concordanti e convergenti di questi occupanti della Sede, diciamo non che sono eretici ma proferiscono l’eresia : cosa sono nell’interno non possiamo, noi persone private, giudicarlo. Possiamo avere una convinzione personale ma non ne abbiamo una certezza giuridica davanti alla Chiesa, possiamo anche nel limite dire che hanno le intenzioni migliori del mondo: possono essere convinti che l’unico modo che hanno di salvare la Chiesa e di propagare il Vangelo oggi per l’uomo moderno è di fare così, di dire quello che dico e di fare quello che fanno; possono essere magari convinti che quello che insegnano non è contrario al Magistero della Chiesa per il semplice fatto che possono pensare che il Magistero della Chiesa sono loro. (Come fanno ad essere contrari al Magistero della Chiesa se il “Magistero della Chiesa” sono loro?). Lì ci dovrebbe essere un’autorità della Chiesa, qualcuno che ha un potere per poterlo fare, che si alzi e che ponga il problema dottrinale.

Ed è questo il nostro punto di forza. Vedete, i cosiddetti “tradizionalisti” sono debolissimi da tutti i punti di vista : siamo pochi, non abbiamo mezzi, il mondo ci è ostile, i poteri temporali sono contrari. C’è una sola cosa che ci fa forti: le verità di fede che sono rivelate da Dio e che si trovano nell’insegnamento dei papi e della Chiesa e che loro, i modernisti, non possono far finta che non ci siano. Quello li mette in imbarazzo, li mette in difficoltà. Per es. c’è stata una Nota nella quale hanno dovuto cercare di spiegare un passaggio di Lumen Gentium riguardo il Concilio: hanno dovuto fare i salti mortali per spiegare ecc. ecc. Perché? Questa Nota è [stata occasionata] da tutte le obiezioni che vengono da “noi”, in senso vasto, cioè da tutti quelli che si oppongono alle nuove dottrine del Concilio. Ci sono dei problemi che loro stessi in cuor loro [non possono negare]. Per Bergoglio in particolar modo la dottrina non conta nulla – quello che conta è vivere l’esperienza : la dottrina è superata, è passata, non conta – però non può dirlo fino in fondo questo, perché è quello su cui si fonda il fatto che sono quello che sono [n.d.r.: membri della Chiesa fino a prova del contrario, sebbene privi di autorità]. Allora noi dobbiamo insistere, ma purtroppo non basta che lo facciamo noi, lo devono fare delle autorità. Ora, alcuni sacerdoti che seguirono P. Guérard, e che se ne staccarono dopo l’ ’81, fecero un’azione di questo genere, cioè scrissero un testo, la Lettera a qualche vescovo, e lo inviarono ai vescovi. Un testo in cui c’erano alcuni dei principali errori dottrinali del Concilio e di Giovani Paolo II: prima era affermata la dottrina della Chiesa, poi erano condannati gli errori contrari, e infine si mostrava che tutto ciò si trovava nell’insegnamento del Concilio e di Giovanni-Paolo II. Chiesero ai vescovi di sottoscrivere questo testo, [ma] l’unico vescovo che sottoscrisse fu mons. De Castro-Mayer, suscitando le furie di mons. Lefebvre che non voleva che si sottoscrivesse perché era fatto dai “terribili sedevacantisti”. Ma lo scopo era quello di far muovere dei vescovi nella Chiesa per porre il problema e risolvere la questione. Adesso che, col sinodo etc., gli errori conciliari, che ci son sempre stati ma diventano sempre più visibili, si degradano sempre di più e si estendono a macchia d’olio, per cui anche l’uomo della strada ormai strabuzza gli occhi e dice com’è possibile, la speranza è che qualcuno possa rendersene conto – ma per la verità, umanamente parlando, credo che le speranze sono ben poche.

Ma con la grazia di Dio che convertì San Paolo, e da fariseo lo trasformò in Apostolo in un istante, non si può escludere che questo avvenga. Quindi noi, oggi come ieri, diciamo a chiunque occupi di fatto qualunque posto di autorità nella Chiesa – se veramente sono in buona fede e vogliono il bene della Chiesa – facciano il loro dovere: quindi non solo proclamino la verità e condannino gli errori, ma chiedano conto a chi di questi errori è il responsabile numero uno, l’ “autorità” in questo caso di fatto, Bergoglio (e prima erano gli altri), di condannare con loro l’errore, oppure di dichiararli eretici e quindi di passare – loro possono farlo – all’elezione di un vero legittimo pontefice.

5. La distinzione tra materia e forma, quindi potenza e atto, abbiamo visto che non è un’invenzione di P. Guérard, ed è stata elaborata da Aristotele e poi perfezionata da San Tommaso d’Aquino con [la dottrina del-]l’Essere, quale Atto ultimo di ogni forma e essenza (ed anche il Magistero lo ha sempre insegnato). Però sembrerebbe che, secondo alcuni scrittori, questa distinzione, se applicata al papato può funzionare soltanto fino alla morte del papa materiale e non oltre. Quindi morto il primo papa materiale non si può andare più avanti.

Anche questa obiezione viene da un ex confratello, e sinceramente ci ho messo un po’ per capirla, anzi ammetto di non averla capita ancora adesso: sarà un mio limite. In realtà mi sembra (non so se non sono convincente) che la risposta è molto semplice. Come dicono le autorità che vi ho citato – ma non è perché lo dicono queste autorità, ma perché è vero – cosa succede alla morte del papa o comunque quando la Sede è vacante? Che l’autorità è in Cristo, che il potere materiale elettivo è nel Collegio elettivo e tanto basta per la continuità. Quindi se qualcuno che ha occupato la Sede è morto senza diventare mai formalmente papa, ebbene, in quel momento perde quella designazione che aveva avuto e resterà solo un materialiter che non è mai diventato formalmente papa. Ma cosa succede in questo caso? La Chiesa è finita? No. Semplicemente l’elezione è andata fallita e si procede ad una nuova elezione con un nuovo conclave. Dopo di ché si vedrà se l’eletto è veramente uno che vuol fare il papa cattolico oppure no.

Ed ecco che siamo al punto di prima. Tanto è vero che (ora non ho modo di citarlo) Padre Antoine ed altri dicono che quello che deve esserci, che è richiesto, perché sia ininterrotta la successione apostolica nelle Sedi – perché questo forse è il problema – [non è il fatto che necessariamente ci sia stato qualcuno che in precedenza fosse formalmente papa]: quando ci sarà un Papa, costui sarà il successore dell’ultimo che c’è stato da un punto di vista formale e materialmente di quella catena materiale che c‘è stata prima e che ha garantito la perpetuità della possibilità di un’elezione. Tanto è vero che questo padre Antoine ed altri dicono: perché sia ininterrotta la successione apostolica nelle Sedi – che non dipende dal Sacramento d’Ordine perché è un altro tipo di successione – non è indispensabile che non ci siano stati dei papi dubbi, non è indispensabile che ci siano stati [dei papi indubbi], quello che è indispensabile è che resti il collegio elettorale [4]. Il collegio elettorale deve restare. Questa è l’unica condizione, molto terra terra per la verità ma ahimè è così, perché ci sia da questo punto di vista la continuità richiesta.

E difatti, ripeto ancora una volta, quando ci fu il Grande Scisma ci fu chi si schierò per un’obbedienza e per un’altra, al punto che ci sono dei teologi che mettono in dubbio chi fosse veramente il legittimo papa, che normalmente è quello romano, ma c’è chi dice anche di no. Tanto è vero che Alessandro VI fu successore di Alessandro V che era il papa di Pisa e non era il papa romano. Quindi a quei tempi si pensava che era il papa di Pisa quello legittimo. Il dubbio che può sussistere ancora su chi fosse il papa legittimo durante il Grande Scisma, o anche la possibilità che nessuno lo fosse (perché tutti e tre dubbi o tutti e tre scismatici, poiché non volevano ricostituire l’unità), e persino il dubbio sui cardinali, se erano veramente cardinali o no, non impedì il conclave che elesse Martino V legittimo papa. E Zapelena, gesuita, teologo alla Gregoriana dice: i cardinali buoni c’erano, ed erano quelli del papa legittimo, etc., ma a supporre che papa legittimo non ce ne fosse neanche uno, e quindi di cardinali neppure uno, avendo tutti quanti un titolo per essere lì – erano stati designati da qualcuno che aveva qualche titolo giuridico per designarli – ebbene in questo momento c’è una supplenza da parte di Cristo. Perché Cristo supplisce non per qualunque cosa (… non abbiamo un prete e Cristo supplisce e fa prete qualcuno… No!), Cristo supplisce se c’è un fondamento giuridico e una necessità assoluta. Il fondamento giuridico è che questi avevano la nomina di cardinali o di vescovi, etc.; la necessità assoluta è perché gli elettori sono indispensabili per la sussistenza stessa della Chiesa. Può darsi quindi che un caso così strano è successo di già nella storia della Chiesa al famoso Concilio di Costanza, per lo meno non lo si può escludere. Ragione per cui il problema non sussiste.

È cioè un problema grosso, adesso io non voglio nascondere le difficoltà, è chiaro che queste difficoltà ci sono. Quando si deve difendere una tesi, anche vera, a volte basta dimostrare che l’obiezione non è pienamente dimostrativa. Molto spesso si procede così, cioè è sufficiente, se la nostra tesi è già provata per altra via. Le obiezioni possono essere anche fortissime – e nella situazione in cui ci troviamo possono esserci obiezioni fortissime – ma se l’obiezione non è pienamente dimostrativa, non infirmano la dimostrazione già fatta.



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Note.

[1] «Se un laico è stato eletto papa, non potrà accettare l’elezione che a condizione d’essere idoneo a ricevere l’ordinazione e disposto a farsi ordinare ; il potere d’insegnare e di governare, così come il carisma dell’infallibilità, gli sarebbero accordati fin dall’istante della sua accettazione, anche prima della sua ordinazione» (Pio XII, Allocuzione al II Congresso mondiale dell’apostolato dei laici, 5 Ottobre 1957 [tr. it. d.r.]).

[2] «L’eresia è un errore dell’intelletto, in seguito al quale il battezzato nega pertinacemente una verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa a credere, oppure ne dubita soltanto (can. 1325, § 2). / Si nega pertinacemente una verità, quando la si nega nonostante si sappia che dalla Chiesa è proposta come rivelata divinamente. Chi non sa questo per ignoranza colpevole, non diventa – è vero – eretico formale, negando tale verità, ma si rende gravemente o leggermente colpevole contro la fede secondo la gravità della negligenza. Lo stesso vale di un eretico che dubita della verità della sua religione, ma per leggerezza colpevole o per negligenza non cerca di investigare oltre la verità. Allora soltanto diverrebbe eretico formale, quando tralasciasse di investigare, perché è risoluto di non farsi cattolico, anche se venisse a conoscere che la religione cattolica è quella vera. / Si ha il peccato di eresia, non il delitto punito dal diritto ecclesiastico, quando uno nega una verità che falsamente ritiene sia rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa; inoltre, quando colui che nega una verità, è credente, ma non battezzato, per es. i catecumeni; in fine, quando uno nega una verità solo internamente, ma non lo manifesta all’esterno. / Poiché l’eresia, secondo la sua intima natura, è un errore dell’intelletto, colui che solo esternamente finge di negare una verità di fede, ma internamente ne è convinto, non è eretico. Egli non incorre neppure le relative pene, quantunque in foro esterno venga considerato come eretico. Egli, non di meno, pecca gravemente per la negazione della fede. / Benché chi dubiti pertinacemente di una verità di fede sia eretico, pure non è eretico colui che sospende semplicemente il suo giudizio su una verità proposta da credere, senza però dubitarne positivamente; pecca ad ogni modo contro l’obbligo di fare un atto di fede. Chi, in una tentazione contro la fede, vacilla fra la resistenza e il consenso, ma non sospende con piena coscienza il suo assenso, pecca leggermente, perché resiste alla tentazione con negligenza. / Se siano eretici anche i Liberali, i Socialdemocratici o Socialisti, ciò dipende dal grado di adesione ai principi di tali partiti. È eretico per es. chi ritiene che lo Stato cristiano debba essere del tutto indipendente dalla Chiesa o che la Chiesa sia soggetta allo Stato. Similmente è eretico chi, per principio, non vuole riconoscere alla religione nessuna influenza sulla vita pubblica; chi, al posto del matrimonio, vuol costituire il libero amore; chi afferma che la proprietà privata è un furto. – Tuttavia, per mancanza di istruzione, tali persone si trovano, alle volte, in buona fede. Se sia lecito al confessore di lasciarle così, dipende dalla qualità del loro errore e dal maggiore o minore scandalo che danno. In particolare, sono da tener presenti anche le istruzioni dei singoli vescovi. / Poiché l’eresia presuppone una rivelazione divina, non è eretico chi nega una verità che è proposta a credersi dal magistero infallibile della Chiesa, ma che non è rivelata da Dio; pecca però gravemente. – Chi aderisce a una dottrina, la quale fu bensì condannata, ma non dal magistero infallibile della Chiesa, pecca non contro la fede, ma contro l’obbedienza dovuta alla Chiesa, fin tanto che non sarà certamente dimostrato il contrario. / L’approvazione, da parte della Chiesa di rivelazioni private importa soltanto che esse non contengano nulla contro la fede e i buoni costumi. Chi le nega, perché non persuaso che vengano da Dio, non pecca mai gravemente.» 

(E. Jone o.f.m., Compendio di teologia morale, 1955, pp. 81-82 [ripr. anastatica, Ed. Ichthys]).

[3] «In caso di eresia il Papa può esser deposto, non dagli uomini, ma dallo stesso Dio, premessa la dichiarazione di un concilio legittimo. In questo caso non c’è volontaria sottomissione da parte della persona del Pontefice, né una coazione involontaria nei suoi confronti, mentre egli è ancora Pontefice, ma solo la conoscenza e l’esame delle cause [della sua dimissione da parte di Dio], che il Pontefice in questo caso non può giustamente impedire, perché è una giusta e necessaria difesa concessa da Dio [alla Sua Chiesa]» (Francisco Suarez, Defensio fidei catholicae et apostolicae adversus anglicanae sectae errores, Pars II, l. IV, c. 7, n. 5, p. 29).

Così il Palmieri ricapitolava in sintesi le argomentazioni del Suarez in materia :

«Cosa dire circa quella sentenza di canonisti e teologi, secondo cui, in caso di eresia, il Pontefice può esser deposto? Rispondo. 
1) Il caso è ipotetico, perché forse non è mai stato reale, e mai lo sarà; 
2) Ammessa l’ipotesi, quella sentenza deve esser intesa così: il Pontefice ostinato nell’eresia (dico ostinato: se, ammonito dalla Chiesa, recedesse dal suo errore, non si deve procedere più contro di lui), non è deposto dall’uomo, ma da Dio, il quale gli toglie la giurisdizione che gli aveva dato. La Chiesa solo dichiarerà che lui è eretico, e perciò spogliato da Dio della giurisdizione» (Domenico Palmieri, Tractatus de Romano Pontefice, Pars II, Caput II, Thesis XXXII, Scholion I, p. 717).

[L’individuazione e la tr. it. dei passi citati sono tratte dal blog: La fede dei nostri padri. Approfondimenti sulla questione di un papa eretico].

Cfr. anche : Francisco Suarez, De fide, disputa X, sezione VI. Disponibile on-line l’opera omnia sia del Suarez che del Bellarmino.

[4] «Notiamo che questa successione formale ininterrotta si deve intendere moralmente, così come lo comporta la natura delle cose : successione di persone, modo elettivo, come ha voluto Cristo e ha compreso tutta l’antichità cristiana. Questa perpetuità non esige quindi che tra la morte del predecessore e l’elezione del successore non ci sia alcun intervallo, né che in tutta la serie dei pastori nessuno possa essere stato trovato dubbio; ma s’intende con essa una successione di pastori legittimi, tale che mai la sede pastorale, anche vacante, anche occupata da un titolare dubbio, possa realmente essere reputata incorsa nella mancanza di successori [tombé en déshérence] ; ossia che il governo dei predecessori persevera virtualmente nel diritto della sede sempre in vigore e sempre riconosciuto, e che sempre abbia anche perseverato la cura [le souci] di eleggere un successore (Ch. Antoine, De Ecclesia).» (R.P. Goupil s.j., L’Eglise, 5ème édition, 1946, Laval, pp. 48-49, cit. in : B. Lucien, La Situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise, 1985, p. 103; corsivi nel testo [tr. it. d.r.]).

Così il Billot:

«Quando si dice che questa successione è durata sempre senza mai interrompersi, non si vuole dire che nessun intervallo di tempo sarebbe trascorso tra la morte del papa e l’elezione del suo successore, né che non ci sia assolutamente nessuno in tutta la genealogia la cui legittimità sarebbe dubbia. Si vuol dire che i pastori si sono succeduti gli uni agli altri in maniera tale che la loro sede non ha mai cessato d’essere occupata, anche quando era vacante o quando il suo titolare era dubbio. In tal modo, il governo precedente continuava ad esercitarsi virtualmente attraverso i diritti di questa sede che restavano sempre in vigore e che erano sempre riconosciuti, e si manteneva la cura [le souci] di designare un successore in tutta certezza. È in questo senso che la successione non è stata interrotta : a condizione di negare l’interruzione nella misura in cui questa è compatibile con il soggetto materiale della successione e corrisponde al modo umano della successione, in un governo in cui il soggetto del potere è designato per un’elezione, come il Cristo ha voluto quando ha istituito la Chiesa.» (Card. L. Billot, Traité de l’Église du Christ, I. Sa divine institution et ses notes [1921], qu. 6 sur l’apostolicité, nota 54 [tr. it. del redattore dalla traduzione francese dell'Abbé Gleize]).

«Cum dicitur perennis et nusquam interpolata successio, non sic accipias velim, quasi nullum deberet interponi intervallum temporis inter mortem praedecessoris et electionem successoris; neque etiam quasi nullus omnino sit in tota serie, de cuius legitimitate dubitetur. Sed intelligitur talis successio pastorum ita sese excipientium, ut nunquam Sedes etiam vacans aut per dubium titularem occupata cessasse dicenda sit : quatenus regimine antecessorum virtualiter perseverante in iure Sedis semper vigente et semper agnito, semper etiam de certo successore habita est cura. Ita enim fit ut non interpolata sit successio, accipiendo negationem interpolationis secundum quod fert indoles materiae, et humanus modus succedendi in regno electivo, ad cuius normam Christus Ecclesiam suam noscitur instituisse.» (Ludovico Billot s. j., Tractatus De Ecclesia Christi, sive Continuatio Theologiae de Verbo Incarnato, Tomus Prior: De credibilitate Ecclsiae, et de intima ejus constitutione, Editio Tertia, Prati 1909, Quaestio VI, p. 260, nota 2. [reperibile on-line qui]).

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